di BRUNO BALLARDINI
Il documentario The Social Dilemma diretto da Jeff Orlowski, regista statunitense di 36 anni, è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2020 ed è disponibile su Netflix da settembre.
The Social Dilemma, documentario di Jeff Orlowski presentato al Sundance Film Festival 2020
<<Siamo stati ingenui riguardo al rovescio della medaglia>>, è la prima frase pronunciata da uno degli ospiti, tutti personaggi chiave nello sviluppo dei canali social. Qual è il problema, chiede l’intervistatore.
Silenzio.
Qualcuno risponde: «È difficile dare una risposta». «Non ci aspettavamo tutto questo quando abbiamo creato Twitter una decina di anni fa». E ancora: «Come si può gestire un’epidemia nell’era delle fake news?» .
Tristan Harris, un ex designer di Google e co-inventore di Gmail, fa un lungo mea culpa. Il centro del discorso è lo sviluppo della tecnologia persuasiva.
È decisamente sgradevole scoprire fino a che punto oggi siamo tutti cavie da laboratorio per chi gestisce i canali social.
La rete di dati serve ad accumulare profili individuali per poter capire più rapidamente il modo migliore in cui si può persuadere ciascun individuo. Harris spiega: «I social media non sono soltanto degli strumenti che aspettano di essere usati, i social media hanno obiettivi precisi e usano il tuo modo di pensare contro di te».
Questa affermazione è sufficiente a rendere The Social Dilemma qualcosa di indispensabile: dovrebbe essere resa obbligatoria la sua visione nelle scuole medie e medie superiori, e diventare materia di tesi di laurea all’università. Purtroppo in Italia non siamo in grado di rispondere con questa prontezza all’impatto con i nuovi media e i nostri sociologi della comunicazione si trincerano dietro ad una neutralità accademica e un dubbio sistematico che permette loro di non prendere mai posizione mantenendo un’immagine di arbitri e apparentemente indispensabili interpreti della rivoluzione digitale.
Tecnologia persuasiva e dopamina
Poi gli immancabili intellettuali da blog hanno accusato questo documentario di essere grossolano, quando invece abbiamo bisogno più che mai di semplificare per far ragionare su queste tematiche anche chi ha perso la capacità di connettere. E sono sempre più numerosi.
Non importa sapere che i social media oggi siano organizzati e programmati per provocare un rilascio di dopamina nel sistema di ricompensa, e nemmeno scoprire che manipolazione è considerata ormai una parola innocua nel vocabolario dei millennial.
I social sono un immenso Luna Park basato su stimolo-risposta e assuefazione alla ricompensa, sia essa un like o siano contatti in più con relativo aumento del consenso di gruppo.
Jaron Lanier, padre della realtà virtuale, fa a questo proposito una delle osservazioni più preziose: «Il prodotto non siamo noi, è la possibilità che le piattaforme hanno di cambiare il nostro comportamento».
Per questo ci sono le tecniche di polarizzazione che servono a mantenere il più tempo possibile la gente online. Non ci accorgiamo minimamente che ci stanno rubando il bene più prezioso: il tempo, cioè tempo della nostra vita, e lo riempiono con fake news e un cumulo di informazioni totalmente inutili. Il motore di questa macchina infernale sono gli algoritmi. Cathy O’Neil, data scientist e autrice del best seller Weapons of Math (“Armi matematiche”) dice: «Stiamo permettendo ai tecnologi di trattare il problema come se fossero in grado di risolverlo. Questa è una bugia. L’intelligenza artificiale non distingue la verità, l’intelligenza artificiale non risolverà questi problemi, non può risolvere il problema delle fake news. Google non può dire ‘Oh, questa è una cospirazione? È la verità?’: non sa quale sia la verità, non ha un proxy per la verità che sia più efficace di un click».
Il fatto è che gli algoritmi sono strumenti di guerra. Guerra commerciale, guerra cognitiva, comunque guerra, ovvero un atto di aggressione verso l’individuo. La singolarità è già stata raggiunta nel controllo sociale: le macchine, l’intelligenza artificiale, controllano noi più di quanto noi siamo in grado di controllare lei.
La distruzione definitiva dell’individuo come soggetto politico
Ho già scritto in passato che il marketing è guerra, un insieme di strategie che mirano ad un solo obiettivo: invadere per primi un territorio. E il territorio in gioco è la nostra mente.
Ora immaginiamo che cosa accade se la cultura del marketing disponesse di nuovi strumenti per creare dipendenza e raccogliere dati personali: si configurerebbe quello che Baudrillard definiva il delitto perfetto, ovvero la distruzione definitiva dell’individuo come soggetto politico. Ed è esattamente ciò che sta accadendo.
Emblematica la replica di Facebook al documentario riportata da Wired. Un divertente catalogo di risposte infantili e poco credibili.
Ma ora basta con queste chiacchiere, sono rimasto fuori dai social per troppo tempo, non vedo l’ora di tornarci. D’altra parte, sono certo che anche voi non vedete l’ora e, terminata la lettura di questa recensione, tornerete di corsa su Facebook e su Instagram.
E probabilmente nemmeno vi ricorderete di vedere The Social Dilemma.
Perché non c’è nessun dilemma.
Avete già scelto.
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Bruno Ballardini è un saggista, scrittore e esperto di comunicazione strategica. Per un elenco dei suoi saggi.