L’altra epidemia

Quando la psichiatria è usata per eliminare il dissenso

Droni cinesi utilizzati per i lockdown

di SONIA CASSIANI

La psichiatria è una disciplina di confine tra medicina e scienza sociale: pertanto ci si aspetterebbe da un saggio pubblicato su una rivista specialistica (Rivista Italiana di Psichiatria) come “L’altra epidemia” del Professor Giuseppe Bersani un linguaggio aperto alla falsificabilità della propria tesi, secondo il principio che dovrebbe contraddistinguere il metodo secondo la cosiddetta “comunità scientifica” e coerente con il principio di “avalutatività” delle scienze sociali teorizzato da Max Weber.

L’altra epidemia di G. Bersani si presenta al contrario come una sorta di pamphlet politico contro i “negazionisti della pandemia” e i “no vax”: la parola che apre il saggio è idioti, e l’autore considera questi soggetti come tali esattamente nell’accezione intesa nel senso comune, “untori” di un’epidemia di idiozia più grave di quella sanitaria.

Dai “sorci” di Burioni alla “poltiglia verde” di Selvaggia Lucarelli, fino al fantasma del generale Bava Beccaris da scatenare contro le piazze no pass evocate dall’ex sindacalista e parlamentare Giuliano Cazzola, la violenza linguistica contro quella che Bersani definisce, non senza un qualche fondo di ragione dal punto di vista sociologica, una “subculturala violenza linguistica contro i cosiddetti negazionisti e i no vax ha caratterizzato ampiamente il discorso pubblico tra il 2020 e oggi.

Per subcultura si intende infatti un gruppo sociale che porta avanti visioni e valori almeno in parte diversi da quelli dominanti in un dato periodo storico.

L’autore del saggio parte da un concetto assunto in maniera dogmatica come verità: la narrazione ufficiale della pandemia è sicuramente vera, perché mai i governi agirebbero contro l’interesse e la salute dei cittadini, e la scienza è “pura”, un’isola felice aliena da conflitti di interesse. 

L’uso del termine “negazionismo” oltre ad associare i cosiddetti no vax ai neonazisti che affermano di non credere alla realtà dei lager, denota un approccio dogmatico e quasi religioso alla “verità” scientifica.

In primo luogo, l’analisi di Bersani che appunto è uno psichiatra è caratterizzata da un approccio clinico (ovvero, incentrato sull’individuo) e non sociale. 

Questo comporta che le affermazioni riprese da alcuni soggetti o gruppi contrari alla narrazione pandemica ufficiale possano risultare apparentemente “deliranti” se avulse dal contesto. 

Quello che Bersani omette totalmente è però il cambio di paradigma consumato nel marzo 2020.

In quelle che erano democrazie liberali anche se imperfette, i cittadini sono stati da quel momento considerati malati asintomatici fino a prova contraria da esibire allo stato: dal tampone, il cuore del nuovo paradigma di società medicalizzata, al green pass da esibire come “garanzia di non contagiosità” come affermato nell’estate 2021 dal premier italiano Draghi, qualcosa di mai visto in precedenza. 

Bersani omette totalmente questo aspetto e si lancia in una tassonomia delle “teorie alternative” alla scienza ufficiale. 

La sua argomentazione risulta debolissima e fallace, in quanto mette insieme tesi bizzarre oggettivamente non dimostrabili in alcun modo “i vaccini ci trasformeranno in esseri incapaci di reagire alle vessazioni del potere” con tesi che pur espresse in maniera ingenua risultano invece credibili: che la cosiddetta “Big Pharma” tragga profitti da questa situazione è pacifico, e che la ricerca scientifica finanziata da aziende private sia esposta a enormi rischi di conflitto di interessi, anche. 

Bersani inserisce nello stesso elenco anche la tesi della pandemia come castigo divino, avanzata tra gli altri dal cardinal Viganò nell’aprile 2020: una visione non “negazionista” quindi ma ispirata da quello che potremmo definire pensiero magico.

Fra i colpiti “dall’altra epidemia” Bersani inserisce anche coloro che “contestano le scelte operative dei governi” e “minano la credibilità delle politiche sanitarie”. L’autore del saggio non riconosce quindi il ruolo critico dell’intellettuale e del filosofo: quello appunto di seminare il dubbio e analizzare le comunicazioni ufficiali in maniera imparziale. 

Un atteggiamento che ricorda la caccia alle streghe e agli eretici, e non ci sorprende: la lotta alla stregoneria, come riconoscono i maggiori storici del fenomeno, fu condotta insieme dalla Chiesa e da quella che oggi è diventata “la scienza” ovvero il paradigma che ha vinto una guerra culturale contro approcci diversi, in particolare alla medicina.

L’argomentazione di Bersani ricalca i più scontati clichés della rappresentazione mediale di coloro che si sono opposti alle restrizioni e alla vaccinazione di massa, mettendo in evidenza le punte più improbabili e strampalate di un movimento molto variegato, dai seguaci della teoria cospirazionista Qanon a coloro che parlano di controllo dei corpi a distanza con i microchip. 

La tecnica usata è quella del cosiddetto framingteorizzata da E. Goffman e ben nota in sociologia della comunicazione: si prende un qualcosa che realmente esiste e lo si forza in modo da far corrispondere la realtà alla propria tesi. 

Ora è palese che queste tesi estreme esistano nella cosiddetta area culturale che si è opposta alle restrizioni e al green pass, insieme a moltissimi altri punti di vista meno folkloristici, da quello liberale che mette l’accento sulla sistematica violazione dell’habeas corpus e dello stato di diritto ai punti di vista che vedono nella nascita e nella gestione dell’emergenza pandemica strategie geo-politiche di largo respiro, tutte tesi socialmente squalificate grazie all’uso di frame come negazionisti o no vax.

Bersani riconosce che rispetto al dibattito pre-2020 l’area cosiddetta no vax si arricchisce di nuovi elementi non riconducibili allo stereotipo sociale del nerd complottista o del seguace di teorie new age

La spiegazione che propone è tuttavia viziata dal pregiudizio clinico; per l’autore del testo, questi soggetti proietterebbero nel “negazionismo” il proprio terrore della malattia e della morte, vedendo in questo processo tratti di carattere psico-patologico. Si tratta a tutti gli effetti di una psichiatrizzazione del dissenso, nonostante l’autore si prenda la briga di negarlo in un passo del testo.

Molte persone lontanissime da un certo stereotipo hanno riconosciuto in quanto avvenuto tra 2020 e 2021 quel cambio di paradigma che Bersani nega, e hanno preso a interrogarsi sulla non neutralità e la politicizzazione della scienza. Il sociologo inglese W. Davies, nel saggio Stati Nervosi del 2018, aveva previsto che la scienza ufficiale avrebbe reagito al decennio populista dell’uno vale uno politicizzandosi.

Esattamente quello che è successo, la scienza si è inserita nel vuoto di visione della politica tradizionale delineando una società medicalizzata e asettica, caratterizzata dalla filosofia della “massima precauzione” e del rischio zero come modello di virtù. E come aveva previsto Michel Foucault, gli scienziati sono diventati i nuovi pastori laici della cittadinanza, dispensando norme di condotta sessuale (si ricorderanno le uscite sul sesso in mascherina o i congiunti) e igienica.

 Nella visione di Foucault questo ruolo di “pastore” laico che avrebbe sostituito quello cattolico sarebbe stato ricoperto dagli psichiatri, appunto. In questa situazione invece è stato svolto da infettivologi e virologi, e il saggio di Bersani si conclude proprio rivendicando il ruolo “pastorale” nei mezzi di comunicazione degli psichiatri accanto a quello di questi ultimi. 

Bersani si contraddice inoltre quando afferma che per delineare una condizione psico-patologica il soggetto deve portare avanti tesi non condivise dalla cultura di riferimento, mentre a inizio del saggio ripete più volte che tutte le tesi “no vax” e “negazioniste” sarebbero condivise nell’universo culturale di riferimento.

L’altra epidemia si caratterizza quindi come una sorta di manifesto politico di una scienza elevata, o ridotta, a ideologia, che non ammette critiche o dubbi come una religione. 

Le tesi di Bersani sono di fatto dimostrate in maniera tautologica, affermando che la scienza ufficiale ha ragione in quanto tale e i governi non potrebbero mai agire per motivi non strettamente sanitari e di bene comune. 

L’ipotesi che l’opposizione alle restrizioni sia motivata dall’emersione di una psico-patologia di massa appare totalmente infondata e non supportata da prove.

Peraltro, se l’approccio è clinico una diagnosi di psico-patologia non può essere fatta per “sentito dire” e invece l’autore si limita a ripetere stereotipi sociali e a ragionare su di essi senza indagare casi singoli.

Nel capitolo finale l’autore si lamenta che gli psichiatri sono considerati non “pensatori” ma “operatori”.

In un saggio come “L’altra epidemia” di pensiero ne vediamo effettivamente pochissimo o nulla: si tratta appunto di un elenco raffazzonato di clichés, stereotipi e luoghi sui cosiddetti no vax e negazionisti, privo di qualsiasi riferimento a casi empirici. Dietro la veste accademica, il saggio trasuda lo stesso odio sociale delle dichiarazioni contro i “sorci” o la “poltiglia verde”.

La “scienza” rappresentata da questo saggio altro non sembra che propaganda travestita, una scienza che non solo si mette al servizio del potere ma che usa questo saggio per reclamare “un posto a tavola” assieme ai nuovi pastori della cittadinanza, dagli infettivologi ai virologi

La psichiatrizzazione del dissenso, neppure troppo strisciante, che propone l’autore di questo saggio appare estremamente pericolosa per una democrazia già messa a durissimo prova dalle “misure sanitarie” e, se venisse realmente recepita dalle istituzioni, finirebbe per dare ragione alle piazze no pass che nel 2021 paragonavano quanto stava avvenendo in Italia ai più feroci regimi totalitari del Novecento.

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Sonia Cassiani è Segretario del Partito Libertario 

Una risposta a "L’altra epidemia"

  1. Una analisi perfetta. Chi scrive declamando la scienza e poi pretendendo che la verità sia solo la sua è, dal punto di vista scientifico, un imbecille. La scienza è tesi e discussione, non proclami. E poi che uno psichiatra si lamenti per non essere definito un ‘pensatore’ ma un ‘operatore’ mi sembra leggermente fuori di testa. Nello scorso ’22 vinsero quelli che scrivevano queste teorie infantili.

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