di ALBERTO CONTRI
<<Il massimo che mi aspetto di recuperare con la mano sinistra è forse la capacità di tenere una tazza>>.
Questa è la drammatica confessione del grandissimo pianista Keith Jarrett, contenuta in una intervista concessa di recente al New York Times.
La drammatica confessione del grandissimo pianista Keith Jarrett
Colpito da due ictus in successione nei primi mesi del 2018, che costituiscono la spiegazione dell’improvviso annullamento di un attesissimo concerto alla Carnegie Hall, di lui non si era saputo poi più niente, anche a causa della sua proverbiale riservatezza. Ma questa volta si è lasciato andare, e come guardandosi dall’esterno con grande amarezza, ha commentato non solo la drammatica perdita dell’uso della mano e della parte sinistra del corpo, ma anche della progressiva scomparsa dalla sua memoria degli accordi degli standard che ha suonato per tanti anni.
Questa drammatica vicenda mi ha fatto tornare alla mente un racconto di fantascienza che vinse nel 1960 il Premio Hugo per il miglior racconto breve: Fiori per Algernoon, di Daniel Keyes…
Questa drammatica vicenda mi ha fatto tornare alla mente un racconto di fantascienza che vinse nel 1960 il Premio Hugo per il miglior racconto breve: Fiori per Algernoon, di Daniel Keyes.
Il protagonista è Charlie Gordon, un inserviente ritardato di una fabbrica che accetta di sottoporsi ad un procedimento sperimentale che aveva fatto diventare strabiliante l’intelligenza di un topolino di nome Algernoon. Charlie migliora al punto di battere sempre più spesso Algernoon nella soluzione dei labirinti.
Ad un certo punto però l’intelligenza di Algernoon regredisce, finché il topo, probabilmente estenuato dall’audacia e dallo stress dell’esperimento, muore. Ma Charlie stesso si accorge ad un certo punto che gli effetti dell’esperimento si rivelano temporanei anche per lui, e piano piano torna ad essere il ritardato di sempre, senza dimenticare però l’amicizia per il topo con cui aveva condiviso tanti momenti. E al momento di abbandonare la fabbrica in cui tutto era successo, lascia una lettera tutta sgrammaticata in cui prega di <<mettere gentilmente allorquando possibile dei fiori sulla tomba di Algernon dentro il cortile di dietro>>.
Il procedimento ideato dai due personaggi, Nemur e Strauss, puntava alla massima perfezione raggiungibile dall’intelligenza
Analogamente al procedimento sperimentale ideato dai due scienziati di nome Nemur e Strauss, che puntava alla massima perfezione raggiungibile dall’intelligenza, Keith Jarret – dotato naturalmente di superlative doti musicali – ha puntato tutta la vita al proprio perfezionamento con uno studio ed un lavoro al limite del disumano, al punto che un paio di volte ha dovuto interrompere la sua carriera, colpito dalla sindrome di affaticamento cronico. Ma non se ne è dato per inteso, riprendendo lo studio e i tour. Finché le arterie hanno ceduto.
Io ho avuto la rara occasione di vederlo suonare da solo al Greenwich Village all’inizio degli anni settanta, in una sera piovosa in cui eravamo solo in tre o quattro ad ascoltarlo. Non era per nulla famoso, ma era già lui, e ci lasciò esterrefatti.
È in questa sua esasperata ricerca di miglioramento che ho riscontrato l’analogia con il racconto di Keyes
Pochi anni dopo nel 1975 la ECM pubblicò la registrazione del suo Koln Concert, una lunga improvvisazione splendida e commovente, che la critica ha definito la più straordinaria esibizione di un pianista jazz che si ricordi. Sono poi andato a sentirlo varie volte dal vivo, a Zurigo come a Perugia o a Milano, rimanendo sempre colpito dalla sua esasperata ricerca della perfezione.
Ricordo che al Festival del jazz di Perugia iniziò il concerto con oltre un’ora e mezzo di ritardo, perché pretese un altro pianoforte. A volte suonava rilassato, a volte si contorceva fino allo spasimo alla ricerca di accordi impossibili da suonare per un normale essere umano.
È in questa sua esasperata ricerca di miglioramento che ho riscontrato l’analogia con il racconto di Keyes. Come se Jarrett avesse fatto un terribile esperimento su sé stesso, tirando la corda all’inverosimile fino a spezzarla. E trovandosi poi ad osservarsi disabile, appena capace di suonare qualche nota di Bach con la mano destra.
…Glenn Gould, Springsteen e Sting
Parlando di Bach mi viene in mente un altro grandissimo pianista, questa volta di musica classica, Glenn Gould.
Anche lui sempre alla ricerca della perfezione, pieno di fissazioni (era però affetto dalla sindrome di Asperger). Smise presto di fare concerti per studiare e suonare nello studio che la CBS gli aveva costruito vicino alla sua abitazione e dove registrò tutti i suoi dischi.
Diversamente da tutti gli altri musicisti, non accettava di montare le registrazioni scegliendo le parti migliori: o l’esecuzione veniva bene nella sua totalità, altrimenti la si ripeteva tutta intera, fino all’esecuzione perfetta. Anche lui tirò la corda in cerca delle perfezione totale, ma questo sforzo lo uccise – guarda caso anche lui ebbe un ictus – a soli 50 anni.
Jarrett e Gould, due geni disperatamente soli, inflessibili con sé stessi nel tentativo di superare i limiti umani.
Passando dal jazz e dalla classica al rock, non si può non ricordare un altro genio come Springsteen, anche lui in lotta come Gould con ricorrenti crisi depressive.
Per carità, in questo caso gli accordi usati sono sempre solo tre o quattro, ma la sua genialità consiste nel saper raccontare in musica la realtà americana, tramite una poetica in grado di arrivare al cuore di diverse generazioni. Passati i settant’anni, e fortunatamente ancora tra noi, Bruce combatte la sua depressione con l’aiuto della moglie e della sua famiglia, e grazie alla compagnia della E-Street Band, che in realtà è un inseparabile gruppo di amici che suonano e armonizzano insieme i pezzi, divertendosi molto.
In questi giorni è uscito A letter to you, il ventesimo album in studio in cui insieme ai suoi musicisti ripercorre la sua carriera anche con commosse citazioni dei colleghi prematuramente scomparsi. Nel caso di Springsteen possiamo dire che la compagnia di una squadra di amici è stata la chiave per non perdere il lume della ragione, non dimenticare perché si vive, sperimentando la gioia del suonare insieme.
Ancora nel campo del rock, c’è un musicista che mi ha sempre colpito per la bellezza e la grazia della sua musica in larghissima parte derivante dal suo equilibrio interiore. Mi riferisco a Sting.
Dopo la fantastica stagione dei Police, ha percorso una strepitosa carriera di solista, sperimentando impensabili contaminazioni, come ad esempio la collaborazione con il liutista bosniaco Edin Karamazov, con il quale ha registrato un delicatissimo disco di musiche di John Dowland.
Ritengo che suonare l’arciliuto richieda una particolare disposizione d’animo e una grande tranquillità interiore. È noto che Sting l’abbia raggiunta praticando da sempre, e con costanza, lo yoga e la meditazione, cui dedica un’ora in solitudine prima di ogni concerto.
In Sting ritroviamo il musicista che non ha mai forzato i suoi limiti, ma ha saputo ugualmente raggiungere le più alte vette puntando sull’equilibrio interiore e sulla ricerca del calore dell’amicizia
In Sting ritroviamo il musicista che non ha mai forzato i suoi limiti, ma ha saputo ugualmente raggiungere le più alte vette puntando soprattutto sull’equilibrio interiore e, anche lui, sulla ricerca del calore dell’amicizia. Senza dimenticare di amare la natura godendo dei suoi frutti e del lavoro nei vigneti: infatti si è comprato una tenuta in Toscana dove passa molto tempo producendo dell’ottimo vino.
Ascoltando ognuno di loro, si percepisce da cosa scaturisce la loro musica: dall’enorme tensione creata da una incessante ricerca della perfezione, oppure dal calore dell’amicizia e dall’equilibrio interiore.
In entrambi i casi, sempre grande musica: che affascinante mistero.
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Da cinquant’anni in comunicazione, Alberto Contri è stato ai vertici di multinazionali della pubblicità e di istituzioni del settore: presidente dell’Associazione Italiana Agenzie di Pubblicità, della Federazione Italiana della Comunicazione, unico italiano mai cooptato nel Board della European Association of Advertising Agencies. Già consigliere della RAI, A.D. di Rainet, presidente e D.G. della Lombardia Film Commission. Ha presieduto fino la la Fondazione Pubblicità Progresso (1999 – 2019), che ha trasformato in un Centro Permanente di Formazione alla Comunicazione Sociale, con un Network (Athena) di oltre 100 docenti di 85 Facoltà e Master. Già Docente di Comunicazione Sociale presso le Università: La Sapienza, S.Raffaele-Vita, Iulm, attuale Presidente del Centro Responsabilità Sociale S.Bernardino. Autore di “McLuhan non abita più qui? La comunicazione nell’era della costante attenzione parziale” edito da Bollati Boringhieri nel 2017, “Comunicazione sociale e media digitali” , edito da Carocci nel 2018 e “La Sindrome del Criceto” edito da La Vela nel 2020.